Sabino (Baldo) Balducci - chitarra e voce

Sabino Balducci (detto Baldo dagli amici) nasce in Puglia nel lontano Agosto del 1969 e migra ancora infante ad Arosio in provincia di Como. Smessi i panni da prode cestista a causa dell’elevazione equiparabile a quella di un panettone antiparcheggio, verso i 14 anni il nostro eroe comincia ad acquisire consapevolezza della propria sensibilità musicale (galeotto fu il 45 giri della sigla di “Ken Falco” regalatogli da bambino) ed a rivolgere di conseguenza le proprie attenzioni verso tutto ciò che somiglia ad uno strumento musicale. Approda alla sei corde per puro caso. Vorrebbe suonare la batteria ma la scarsità di finanze ed il regolamento condominiale gli remano decisamente contro. Dopo aver cercato invano un basso su Secondamano, in quanto con sole quattro corde “era più facile da suonare della chitarra”, ripiega su una chitarra nemmeno troppo convinto e la compra per la modica cifra di 150.000 lire, raccolte mettendo via le monetine da 500 lire che in quell’epoca stavano sostituendo le banconote di pari valore. Tenta di prendere perfino qualche lezione ma è lì che si rende conto che “non è cosa”; proprio lo studio non fa per lui. Meglio continuare a suonare attaccato alla piastra dello stereo “Smoke on the water”, reiterandone alla nausea il famoso riff (non andando mai oltre quello, figuriamoci!) su ogni singola corda dello strumento, causando gravi e permanenti disturbi al sistema nervoso dei propri congiunti. Fortemente attratto dall’heavy metal e fortemente influenzato dagli Iron Maiden, forma la sua prima band (insieme “al Dani”, diventato successivamente musicista e bassista vero e ritrovato poi proprio nei Pasol). Sfortunatamente per l’umanità le prime esperienze in tal senso non sono neppure particolarmente disastrose e ciò gli conferisce la sfacciataggine di andare avanti nell’insano progetto, in buona parte per colpa degli amici che non troveranno mai il coraggio di dirgli chiaramente: “forse fai ancora in tempo a riprendere col basket!”. Gasato come una bottiglia di Bertier di fantozziana memoria, compra lavando scale condominiali la prima Fender Stratocaster seria (pur Made in Japan ma di tutto rispetto considerate le ciofeche disponibili sul mercato ai tempi), un’orribile amplificatore Roland con 4 ridicoli conettini che lo fanno suonare come un citofono, un Superoverdrive Boss (che oggi sarebbe oro sul mercato del vintage ma lui, da bravo pirla, se lo rivende) e comincia la sua travagliata avventura che lo porterà ai giorni nostri a consacrarsi inappellabilmente come chitarrista fallito. Per la verità la propria “carriera musicale” non si svolge per lungo tempo in ambito metallaro. Esauriti i primi vagiti (per non dire rutti) nel mondo del metallo pesante si innamora dei Toto e di Steve Lukather avviando da lì in poi un processo di ampliamento del proprio bagaglio di conoscenze che lo porta nel corso degli anni ad approdare ai generi più disparati, adoperandosi a seconda delle esigenze in progetti musicali che gli vengono proposti da amici e conoscenti (tutti evidentemente audiolesi, altrimenti la cosa non si spiega), già consumati musicisti. Passa più o meno disinvoltamente dal metal all’hard rock, dal pop inglese ed americano alla musica italiana in elettrico ed acustico, dal progressive al demenziale (suonando tutto rigorosamente da schifo). E’ proprio in questo genere che ad onor della cronaca dà il meglio (ovvero il peggio) di sè, arrivando persino a vincere un Festival di Sanscemo con una band milanese, gli H2SO4 e ci tiene pure a dirlo in giro vantandosene, il beota! Collezionando figure di menta tra un gruppo e l’altro, ad un certo punto della propria vita si trova a riflettere sul percorso fatto e si rende improvvisamente conto che se avesse usato tutti i soldi spesi in pedalini per prendere lezioni di chitarra, forse (ribadisco, forse) sarebbe diventato un chitarrista decente, passabile. Caparbio, s’iscrive quindi ad un corso di chitarra presso il Music Center di Meda e comincia a prendere lezioni con il Maestro Alessio Sabino il quale, nonostante tutto, ancora oggi gli rivolge la parola.

Con Alessio (giustamente) alla chitarra si azzarda persino a rivestire il ruolo di bassista in un coro popolar-gospel, il Corollario di Inverigo, riuscendo incredibilmente tra un “dum dum” e l’altro (eseguiti rigorosamente fuori tempo e con un solo dito) a schivare con maestria minacce, insulti, querele e processi per vilipendio alla musica ed al basso in quanto strumento! In soldoni, non impara ancora a suonare ma grazie ad Alessio comincia a conoscere ed apprezzare generi di musica e musicisti che letteralmente fanno parte di un altro pianeta, ampliando vieppiù la sfera dei propri interessi in fatto di musica.

Venendo a tempi più recenti, per colpa di un amico storico comune (il mega-galattico-superbravo bassista Daniele Sala di cui sopra, con il quale nel corso degli anni il nostro Medioman della chitarra si ritrova di tanto in tanto inspiegabilmente a suonare) conosce Gianmario “Gimmy” Sormani, ovvero il direttore, anzi l’amministratore delegato, anzi il megadirettore universale, anzi l’autocrate indiscusso dei Pasol (band tributo agli inestinguibili Pooh), il quale nonostante le deludenti performance alla chitarra ed alle catastrofiche prestazioni alla voce, conferma il nostro simpatico cialtrone come membro ufficiale della band e lì (almeno per ora) rimane.

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